- 24Novembre
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Salute riproduttiva: femminile diseguale
di Rita Breschi *
Esiste un rapporto fra comportamenti, vita sociale e salute riproduttiva delle donne alle diverse latitudini?
Esistono diritti “essenziali” legati allo status che dovremmo considerare imprescindibili?
Se possiamo ricavare una quota di risposte da scienze quali l’antropologia o la sociologia, lo sguardo dell’ostetrica – anche clinico – sul fenomeno, può focalizzare il tema delle disuguaglianze e aggiungere un valore alla discussione.
Essere donna e madre nel mondo non ha lo stesso significato né personale né sociale, non identifica gli stessi bisogni né sanitari né sociali, non definisce di per sé né standard né outcome, ed è arduo perfino definire “buone pratiche” valide per tutti.
Iniziamo così questo veloce percorso nella vita delle donne, senza la pretesa di essere esaustivi, solo con la speranza di illuminare qualche aspetto dei diritti negati e di una giustizia che nel mondo delle donne tarda ad arrivare, più che altrove.
LE MESTRUAZIONI
Questa condizione fisiologica rende la vita molto difficile a 800 milioni di donne nel mondo.
A parte la valenza “magica” del sangue, i tabu collegati, la condizione di segregazione che sperimentano, esse non hanno accesso all’acqua, né a materiali usa e getta per tamponare la perdita, e si arrangiano con strumenti come stracci, foglie, fango, con i rischi infettivi personali e sociali correlati.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità – riconoscendo questo come un tema economico, educativo e attinente alla dignità personale – nell’ambito della campagna generale per l’igiene denominata “WASH”, ha istituito il 28 Maggio la “Giornata dell’Igiene Mestruale”.
Sotto questa alta egida è anche partita una campagna che educa le donne alla corretta gestione degli assorbenti di stoffa riutilizzabili, come in Europa 50 anni fa.
Oggi le ragazze dei paesi a sviluppo avanzato iniziano ad apprezzare piccoli dispositivi di gomma intravaginali riutilizzabili, denominati “CUP”, che riducono fra l’altro inquinamento da materiali usa e getta e costi. Sono però difficilmente igienizzabili e smaltibili, comunque costosi e inappropriati per contesti con meno risorse.
Per approfondire: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/26126175
LA MORTE DI GENERE
830 donne muoiono quotidianamente nel mondo per cause legate al parto, il 99% nei paesi in via di sviluppo: è una vera strage, come se cadessero cinque o sei jet ogni giorno.
Tra il 1990 e il 2015 il tasso e’ sceso del 44%, passando da 385 a 216 morti per 100.000 nati vivi
Questa tendenza dovrà consolidarsi tra il 2016 e il 2030, in accordo con l’obiettivo del Programma di Sviluppo Sostenibile, che prevede di ridurre il numero globale delle morti materne a meno di 70 per 100 000 nati vivi (Sustainable Developement Goal). Ma che dire se paragoniamo questo risultato a quello che otteniamo nei paesi a sviluppo avanzato, che registrano ad oggi 12 morti materne su 100.000 nati vivi?Le donne in gravidanza muoiono per le stesse complicazioni in ogni parte del mondo (emorragie, infezioni, parti traumatici), ma nei paesi più fragili muoiono in maniera molto maggiore perché le barriere di accesso e lo scarso livello delle cure, le precarie condizioni di salute, e la scarsissima copertura contraccettiva addensano il rischio della morte di genere nell’età fertile in maniera drammatica.
Secondo Medici con l’Africa CUAMM il 15% di tutte le gravidanze è gravato da complicanze maggiori, potenzialmente mortali. Nei paesi a basso reddito solo il 40% di tutte le donne in gravidanza riceve le 4 visite consigliate, e solo il 51% delle donne ha un parto assistito da personale qualificato.
E invece nei paesi a sviluppo avanzato sta crescendo un movimento di opinione (e azione) che rivendica il diritto delle donne ad avere un parto non assistito (Unassisted Childbirth) , nemmeno dalle ostetriche!
E sul loro sito, sui loro libri, si legge che, una volta sconfitta la povertà, è sufficiente liberare il parto dalle emozioni distruttive per avere garanzia di risultato. Non possiamo non fermarci a riflettere su dove ci conduce l’ideologia onnipotente, quando i bisogni primari sono soddisfatti in un modo automatico, e indipendente dal proprio impegno quotidiano a sopravvivere.
In alcune regioni del mondo la prima sfida delle donne è riuscire a nascere, ma la denuncia dell’aborto selettivo di genere è recente.
Nel 1991 il premio Nobel Amartya Sen pose per la prima volta all’attenzione della politica mondiale l’hidden gendercide per il numero preoccupante di missing women, e nel 2010 l’Economist riportò alla luce il fenomeno.
Per questo l’ONU ha stabilito che il giorno 11 ottobre si celebri la giornata della bambina.
In natura il rapporto biologicamente normale varia tra 102 e 106 maschi, ma proprio a causa della distorsione selettiva, in India si è ormai giunti ad oltre 130 maschi ogni 100 femmine.
“Save the girl child” è una campagna che coinvolge 10.000 medici indiani che si battono contro l’aborto selettivo; il dottor Ganesh Rakh, che ne è l’ispiratore, e gestisce un ospedale dove si può partorire gratis se nasce una femmina.
Per approfondire:
http://www.who.int/topics/millennium_development_goals/maternal_health/en/
http://www.unassistedchildbirth.com/
http://www.diconperdonne.it/sito/images/curricula/documento%20aborto%20selettivo%20di%20genere.pdf
LA CONTRACCEZIONE
La grande multiparità, oltre ad essere un serio problema sanitario in molti paesi con economie fragili, condiziona fortemente la vita delle donne e le assoggetta ancora di più al potere della struttura familiare.
La possibilità di pianificare le scelte riproduttive caratterizza le società ad economia avanzata, ma nemmeno in queste, come vedremo, il concetto di autodeterminazione (originatosi dalla spinta femminista degli anni 70) oltrepassa le barriere economiche e culturali, rendendo la gravidanza indesiderata un problema che affligge gli stati più fragili, poveri e meno istruiti della popolazione femminile.
L’Economist ha effettuato nel 2016 un sondaggio in 19 paesi, chiedendo ai genitori quanti figli vorrebbero o avrebbero voluto, e quanti figli hanno o pensano che avranno.
La Nigeria, il Pakistan e l’India svettano in questa classifica, perché il numero di figli ritenuto “ideale” è molto minore del numero di figli riportato come “reale”.
Dall’altra parte, nell’Europa della crisi, registriamo un dato inverso: in Grecia per esempio le famiglie si accontentano di un numero di figli “reale” inferiore al numero “ideale”, e l’Italia eccelle nell’età avanzata delle mamme alla nascita del primo figlio.
Se guardiamo poi l’andamento della curva delle nascite in Italia, appare chiarissimo come questa sia influenzata dai fattori economici (e quindi sociali), al di là degli appelli a procreare pervenuti anche recentemente da parte di personaggi assai autorevoli.
Negli Stati Uniti i parti nella fascia di età 15/19 anni stanno decrescendo dagli anni novanta ad oggi, ma la popolazione ispanica e i neri restano comunque ai primi posto per tasso di nati ogni 1000 ragazze, confermando che i determinanti costituiti da bassa istruzione, basso reddito, difficoltà accesso ai servizi, condizionano enormemente la libertà di scelta, compresa la libertà di accesso alla contraccezione e all’interruzione volontaria della gravidanza.
A proposito di questo, le interruzioni volontarie sono condotte in maniera non sicura in oltre il 97% dei casi in Africa, in oltre il 95% in America Latina, in oltre 65% in Asia, e questo genera una enorme sproporzione nel rischio di morte legato alla pratica, che si attesta su 220 morti/100.000 procedure in Asia e 460 morti/100.000 procedure in Africa, VS. 0.6 morti/100.000 procedure in USA.
Inoltre la possibilità che una donna adolescente muoia per parto sono stratificate in maniera molto diversa alle varie latitudini, risultando 1/4900 nei paesi sviluppati contro 1/180 nei paesi in via di sviluppo e addirittura 1/54 nei paesi fragili.
La Fondazione Guttmacher riporta una classifica mondiale del fenomeno delle gravidanze nelle adolescenti, completa degli esiti (parto, aborto, interruzione volontaria), in cui notiamo che gli USA sono al primo posto per parti e interruzioni volontarie, mentre l’Inghilterra e la Svezia svettano per tasso di interruzioni.
Certamente la possibilità di accesso ai servizi, oltre ad aspetti individuali e sociali quali l’adultizzazione precoce delle bambine, incidono massivamente sulla tematica.
Il fenomeno dell’ aborto ripetuto nella popolazione di donne rumene residenti ad Arezzo studiate da Giovanna Tizzi nel 2012, mostra che il modello culturale interiorizzato che considera l’interruzione di gravidanza alla stregua di un normale contraccettivo non è indelebile, che questo comportamento è inversamente proporzionale al tempo di permanenza di queste donne in Italia, e che è collegato alla possibilità di accesso ai servizi e al successivo cambiamento di approccio verso la contraccezione e la prevenzione della gravidanza in generale.
Dobbiamo affermare con forza che l’accesso ad una contraccezione efficace è a tutti gli effetti un fattore di riduzione della mortalità materna soprattutto nella popolazione delle adolescenti e nei paesi in via di sviluppo, e che di questo sempre dovremmo tenere conto in ogni intervento, anche cooperativo, che conduciamo.
http://www.cambio.unifi.it/upload/sub/Numero%203/08_Tizzi.pdf
LA SALUTE MENTALE MATERNA
La salute mentale postnatale è all’attenzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, tanto da istituire a livello mondiale la “Giornata delle salute mentale Materna”, il cui miglioramento rientra negli obiettivi del millennio.
Nel mondo il 13% delle donne presenta un disturbo mentale che va oltre il normale “post natal blue”, e che si configura come un vero disturbo depressivo, che può condurre talvolta anche al suicidio.
Nei paesi in via di sviluppo questo tasso è molto più alto, e raggiunge quasi il 20%.
La difficoltà che le mamme incontrano nell’adattarsi alla nuova condizione è molto nota e molto studiata, come sono altrettanto noti i fattori di rischio preesistenti (esempio la gravidanza non pianificata, un lutto vicino o concomitante), come sono noti i sistemi di prevenzione e contenimento del danno (esempio reti sanitarie e sociali).
Atteso ciò, non è difficile contestualizzare il maggiore impatto del fenomeno nei paesi in via di sviluppo.
Le condizioni di difficoltà in cui versano le donne, la povertà, la precarietà dell’esistenza, la difficoltà di pianificare le nascite non predispongono ad un buon adattamento.
Una riflessione particolare dobbiamo farla circa l’aspetto del lutto, poiché fenomeno molto frequente
Si potrebbe affermare che una madre abituata a questo aspetto difficile dell’esistenza soffra meno?come riferiscono Racalbuto e Lastrucci su Salute Internazionale, nel 2015 le morti in utero, soprattutto occorrenti in travaglio, sono state nel mondo 2,6 milioni, di cui il 98% nei paesi a basso reddito e nello specifico oltre 2 milioni nell’Africa Subsahariana e nell’Asia Meridionale.
Che una madre africana integri più facilmente l’esperienza?
Se da una parte questo ultimo aspetto può essere facilitato in culture dove l’esperienza della morte infantile è frequente, l’aspetto peculiare del lutto di un bambino che nasce morto o che muore molto precocemente coinvolge funzioni materne che possono essere definite trasversali, perché caratterizzano l’aspetto biologico della riproduzione e delle cure parentali della nostra specie.
Questo lutto precoce è considerato uno dei più dolorosi e difficili da superare.
E inoltre la scarsa accoglienza del dolore legato a queste esperienze che si trova in certe culture (il bambino non nato “non è”), può rendere particolarmente ardua, e pericolosa per la stabilità mentale materna, un’esperienza purtroppo per loro molto frequente.
http://www.who.int/mental_health/prevention/suicide/Perinatal_depression_mmh_final.pdf
MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI (MGF)
Non possiamo tacere su questa pratica che compromette seriamente e massivamente la salute delle donne, con conseguenze sul piano fisico e psichico di diversa gravità che dipendono dall’estensione dell’intervento mutilatorio, dalle condizioni igieniche e di salute in cui la donna si trova prima e dopo, dall’età in cui la subisce, dal contesto sanitario e sociale in cui viene praticata, e nel quale la donna vive.
Secondo l’organizzazione Mondiale della Sanità ci sono nel mondo 200 milioni di donne che hanno subito mutilazioni genitali, e annualmente 2 milioni sono a rischio di riceverle.
La MGF è considerata violazione dei diritti umani (tanto che in Italia una donna migrante a rischio di mutilazione in patria gode dello status di “rifugiata”), ed è un reato.
L’epidemiologia di questo fenomeno è estremamente variegata, nella stessa Africa troviamo il 90% delle donne mutilate in Gibuti e il 5% in Uganda.
Altrettanto variegata è la legislazione dei vari paesi nel merito: in molti stati è proibita (eppure il fenomeno non decresce) e a Sumatra si pratica nelle scuole.
Nondimeno, anche se la maggioranza delle donne mutilate è di religione musulmana, la pratica è radicata sulla base dell’etnia di appartenenza: a differenza di quanto si crede non è legata alla religione musulmana, ma presente anche in certe comunità cristiane copte ed ebree.
E’ quindi un fenomeno trasversale a razze e religioni, si tramanda per via matrilineare, è spesso richiesta dalle stesse donne e non imposta, perché contiene aspetti rituali ed iniziatici fortemente fondanti l’identità femminile.
Quando una donna mutilata partorisce, spesso si rende necessario un intervento per allargare l’ostio vaginale, denominato “deinfibulazione”. I nostri medici si trovano spesso di fronte alla richiesta di re-infibulazione post parto, che è atto illegale e non può essere praticato, nemmeno su richiesta della donna.
Ma questi stessi medici si trovano a dover assecondare sempre più frequenti richieste di rimodellamento dei genitali esterni, che provengono da giovani donne del nostro mondo ricco, alla ricerca di un ideale estetico, di una moda attuale e costosa, per niente pericolosa perché l’intervento è affrontato in sale operatorie superaccessoriate, comunque irreversibile, e perfettamente legale.
Che dire? Disuguaglianze.
https://books.google.it/books?id=26-XBgAAQBAJ&pg=PT71&lpg=PT71&dq=who+against+mgf&so
https://www.centrosaluteglobale.eu/site/mgf-corso-ottobre/
LA VIOLENZA NEI CONTESTI DELLA NASCITA
Questo è un tema drammaticamente trasversale, perché la mancanza di rispetto, il disconoscimento del diritto a scegliere, l’uso e l’abuso di pratiche assistenziali e manovre (dolorose e pericolose), sono purtroppo ancora l’attualità dei contesti istituzionali della nascita, anche se con gradualità differente, e sempre più oggetto di denuncie e critiche palesi.
Ognuno di noi è chiamato ad un riesame dei contesti della nascita sotto questo punto di vista.
Quale è il prezzo per la sicurezza che i paesi ad economia avanzata ritengono di avere raggiunto?
Atteso che non si possono azzerare i rischi legati ad un fenomeno biologico quale è il parto – che in quanto tale contiene variabili imprevedibili – noi paradossalmente pensiamo di rispondere con un abuso di cesarei alla richiesta di rispetto, di ascolto, di diritto ad una scelta informata, che proviene dalle donne.
Con ciò contribuendo fra l’altro alla costruzione di esperienze negative, percepite come fallimentari, dove la crisi risiede esattamente nel senso di non potere controllare il fenomeno, di alienazione del corpo, di invasione del corpo che le donne ci raccontano.
Le ricerche sul fenomeno ci indicano che la disuguaglianza di genere e la corruzione presente nei contesti sanitari e sociali esacerbano la violenza e gli abusi sulle donne partorienti, generando disempowerment e interventi non necessari.
E’ interessante un ultimo aspetto da considerare anche sul piano etico: più questi fenomeni sono presenti, meno personale dedicato è assegnato a questo compito cruciale di garantire sicurezza e sostegno alla donna che dà la vita e alla vita che nasce.
Su questa fragilità preziosa è necessario accendere ogni riflettore in nostro possesso, perché questi sono diritti essenziali, trasversali, che sostanziano le relazioni primali fra gli esseri umani ad ogni latitudine.
http://apps.who.int/iris/bitstream/10665/134588/1/WHO_RHR_14.23_eng.pdf
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/26126175
*Rita Breschi, Ostetrica, USL Toscana Centro e Centro di Salute Globale
Foto di copertina gentilmente concessa da STEFANO ZANI